Cuculetto il brigante di Penne

L’ARRESTO DEI FAMIGLIARI

In data 28 Novembre 1873, il Delegato di Pubblica Sicurezza, così scrisse al Pretore di Penne:
“Non solo difficile, ma quasi impossibile, si renderebbe la cattura dei famigerati banditi D’Angelo Emidio ed Ursi Andrea (ma quest’ultimo aveva già abbandonato il territorio vestino per fare ritorno nel suo luogo d’origine in provincia di Salerno, N.d.A.), se più oltre si fosse tollerato dall’Autorità che i parenti del D’Angelo avessero seguitato ad occultare i banditi D’Angelo suddetto ed Ursi Andrea, e ad coadiuvarli con tutti i mezzi, di modo che l’azione dei parenti predetti, non solo si è limitata ad annullare alla Giustizia i colpevoli, ma addivenire delittuoso dal momento concorse a far commettere il ricatto e l’assassinio dell’infelice sacerdote Perrotti Simone, come appresso dirò.
E’ noto come il bandito D’Angelo abbia trovato recapito sul piano di S. Francesco, e precisamente presso la masseria di certo Toppeta, di proprietà del defunto Perrotti, il quale soleva spessissimo recarvisi. E’ pur noto come nella predetta località a cominciare dal mattino, fino alla sera, vi si recassero sotto pretesto di pascolare i maiali, ora la madre, ora il padre, ora la sorella del D’Angelo, ed alle volte tutti uniti insieme, e di là spiavano il lavoro della forza pubblica e della designata vittima Perrotti; tanto che sarebbe stato visto nel giorno 18 che appunto trovavasi a raccogliere le olive in detta masseria, se non fosse giunta alle orecchie dei Reali Carabinieri che il D’Angelo si trovava precisamente al piano di S. Francesco, ove sarebbe stato preso unitamente all’Ursi, se la madre e la sorella del D’Angelo, che trovansi nella detta località, non avessero avvertito il bandito del sopraggiungere della Pubblica Forza, dalla quale il D’Angelo fu inseguito e non raggiunto. E su ciò potrà deporre Pilone Florideo di questa città.
Quando poi avvenne il ricatto del predetto sacerdote, tanto il padre, quanto la madre del D’Angelo furono visti da Perini Anacleto aggirarsi attorno ai luoghi ove fu consumato il reato, e lo zio del D’Angelo, a nome Antonio, pochi momenti prima che i banditi D’Angelo ed Ursi commettessero il ricatto, fu visto seco loro confabulare presso la masseria del Sig. Pompei, come potrà deporre D’Angelo Raffaele.
Ed a proposito del D’Angelo Antonio, è costui che oltre al nipote D’Angelo ha ricoverato nella sua abitazione il bandito Ursi. E’ valga il vero nella sera del 19 andante mese, essendosi da questo Ufficio sospettato che il D’Angelo Antonio teneva nascosto Ursi che volevasi malato, s’inviò sul posto per appurare la località, questi appuntato di P.S. Faga Giuseppe, il quale vide appunto verso le ore due di notte, sortire da una porta che è quella della stalla del D’Angelo, il medesimo unitamente ai due banditi di nottetempo scorrazzare per la campagna, dopodiché niun altro motivo plausibile ha lo Scarfagna per giustificare le sue assenze notturne.
In conseguenza di che quegli favoreggiatori e complici dei misfatti del D’Angelo Emidio consumati, nonché per avere occultato alla giustizia il bandito Ursi Andrea, i precitati individui, furono d’ordine superiore ad essere arrestati e tradotti in queste carceri a disposizione della S.V. Ill.ma per tutti gli effetti di legge”.

Per aiuto prestato a rei di crimini avvenuti a Penne, il 27 novembre furono arrestati i componenti la famiglia di Cuculetto:

  1. Tommaso D’Angelo fu Cipriano di anni 65 (padre);
  2. Antonio D’Angelo fu Cipriano di anni 62 (zio);
  3. Gaetano Scarfagna di Tommaso di anni 27 (cognato);
  4. Margherita D’Angelo di Tommaso di anni 24 (sorella);
  5. Arcangela D’Angelo di Tommaso di anni 20 (sorella);
  6. Angelarosa Barbacane di Massimantonio di anni 60 (madre).

Gli imputati interrogati il giorno 30 Novembre, rilasciarono le seguenti dichiarazioni:
“Sono Tommaso D’Angelo fu Cipriano, di anni 65, contadino di Penne ammogliato con figli ad Angelarosa Barbacane, impossidente, illetterato, non ho fatto il militare, e fui sotto processo per la rivolta del 1860, ma non condannato.
Fui arrestato la sera del ventisette scorso Novembre dalle guardie di Pubblica Sicurezza in casa mia senza aver fatto alcun male.
Mio figlio Emidio l’ho veduto una sola volta dopo che evase dal carcere nel principio del mese scorso nella contrada Gerone, e non ho considerato di fargli rimprovero per la sua fuga. In casa mia non è venuto, né portò il compagno che dicesi evaso con lui. Non ho loro somministrato armi né munizioni, o spiato i passi del Canonico Simone Perrotti onde facilitarne il ricatto e l’assassinio, in campagna ci sono andato soltanto per i lavori della semina.
Abbandono la mia discolpa alle ricerche della giustizia”.

“Sono Antonio D’Angelo fu Cipriano, d’anni 60, contadino di Penne, impossidente, illetterato, ammogliato con Mariantonia Bufarale, non ho fatto il militare, e non sono stato mai carcerato né processato.
Fui arrestato la sera del ventisette andante mese, in mia casa, d’ordine del Delegato di Pubblica Sicurezza. Non so di aver fatto alcun male. Mio nipote Emidio D’Angelo l’ho veduto una sola volta in campagna dove stavo a lavorare coll’altro mio nipote Raffaele D’Angelo. Andava senza il compagno che dicesi evaso con lui. Mi salutò e tirò dritto. Non è vero che io gli abbia portato da mangiare o fornito armi e munizioni, o dato notizie per facilitargli il ricatto e l’assassinio di Simone Perrotti. In campagna ci sono andato soltanto per lavorare alla contrada Ponticelli. Non ho visto mai il compagno del mio nipote, né ho ospitato l’uno o l’altro in casa. Abbandono la mia discolpa alle ricerche della giustizia”.

“Sono Angelarosa D’Angelo, nata Barbacane fu Massimantonio, di anni 60, contadina di Penne, impossidente, illetterata; è sono stata carcerata per due anni per imputazione di furto.
Fui arrestata dalle guardie di P.S. la notte del ventisette corrente mese mentre stavo sola nella casa campestre in contrada Gerone sui fondi coltivati dalla mia famiglia.
Non ho fatto alcun male. Mio figlio Emidio evaso dal carcere di Gaeta l’ho veduto una sola volta in campagna nei primi giorni di questo mese, ed avendolo rimproverato della sua fuga mi rispose che se non ero sua madre mi avrebbe uccisa da che tutti ne avevano piacere ed io no. Sento dire che abbia estorto del denaro al Canonico Simone Perrotti, e che in altro incontro lo ha ucciso, ma di questi fatti nulla so dirvi. Il figlio mi ha mandato più volte a salutare; non ha però mai ordito di venirmi in casa, né solo, né col compagno che vuolsi evaso con lui. Non gli ho portato da mangiare, né somministrato armi o notizie per facilitarlo nei suoi misfatti. Per campagna andavo speso per necessità, dovendo attendere ai lavori campestri ed alla pascolazione degli animali. Non ho testimoni a discarico”.

“Sono Margherita D’Angelo di Tommaso, d’anni 23, contadina di Penne, moglie di Gaetano Scarfagna, impossidente, illetterata, e non sono stata mai carcerata, né processata.
Venni arrestata per ordine del Delegato di Pubblica Sicurezza unitamente a mio marito nella casa di una nostra vicina a nome Mariagiuseppa. Non ho fatto male alcuno. Nei primi giorni di questo mese ho trovato in campagna mio fratello Emidio, e mi raccontò di essere evaso dal carcere di Gaeta, e per averlo io rimproverato, minacciò di volermi uccidere. Da quel giorno non l’ho più veduto. I misfatti da lui commessi, cioè la depredazione e l’assassinio di Simone Perrotti io li ho intesi dalla forza pubblica. In casa mia non è mai venuto, né di giorno, né di notte, né solo, né col compagno, che vuolsi fuggito con lui. Non gli ho portato da mangiare, somministrate armi, munizioni o notizie per facilitarlo nei suoi misfatti.
In campagna ed in generale fuori la città non sono andata mai perché assisto continuamente a mio marito nei suoi traffici.
Abbandono la mia difesa alle ricerche della giustizia”.

Nei giorni successivi il Pretore convocò e sentì alcuni testimoni:
“Sono Filodoro D’Angelo fu Fedele Antonio, d’anni 29, contadino di Penne, cugino secondo di Emidio D’Angelo.
Antonio D’Angelo mio lontano parente, l’ho visto un giorno in campagna discorrere segretamente col suo nipote Emidio D’Angelo. E’ certo che egli per la parentela lo favoriva. Una notte verso la metà di Novembre ho veduto la madre dell’Emidio e suo fratello Carlo partire con molta circospezione dalla casa di Antonio, e lo venni a dire a lei pel sospetto che mi nacque che là dentro fosse ricoverato Andrea Ursi, il compagno dell’Emidio del quale correva voce che fosse ammalato. Non ho risaputo altro che giustificasse quel mio sospetto. Non so altro”.

“Sono Emidio Latini alias Fontana, fu Antonio, di anni 64, sarto di Penne.
Verso la metà del mese di novembre, Gaetano Scarfagna in un giorno di venerdì mi chiese la mattina se mi fidavo di allestirgli un abito per la sera, e mi diede un panno di bottega color bronzino disegnato a quadretti neri, diceva che serviva a lui, ed a lui ho preso le misure facendomi poi aiutare da altri ho fatto nella giornata giacca e calzoni, il gilè di stoffa color cenerino scuro fu lavorato da Francesco Valleriani. Scarfagna si prese l’abito solo nel giorno successivo. Non ho visto mai che l’abbia indossato e non mi consta che in sua vece lo indossi suo cognato Emidio D’Angelo.
No so altro”.

“Sono Domenico Toppeta, fu Antonio, d’anni 22, contadino di Penne.
Emidio D’angelo dopo il ricatto di Simone Perrotti, e fino al giorno dell’assassinio del medesimo, e anche dopo, si è sempre aggirato intorno alla masseria nel piano di S. Francesco, dove io abito. I suoi parenti, cioè il padre e la madre, le sorelle ed il cognato Scarfagna con insolita frequenza in quei luoghi gli facevano da spie. Non è inverosimile, perché sono gente tristissima, che spiassero pure le mosse del Canonico, designata vittima di quel birbante. Quel giorno che fu inseguito dalla forza, egli stava a discorrere colla madre in un punto del piano S. Francesco ove il Canonico doveva passare come faceva due o tre volte nella giornata per venire alla masseria.
Il compagno del D’Angelo non l’ho veduto più dal cinque Novembre quando portai alla capanna del Marzengo il denaro per riscattare il Canonico”.

“Sono Giuseppe Toppeta fu Antonio di anni 26, contadino di Penne.
Dopo che mio fratello Domenico fu testimonio del ricatto di Simone Perrotti nostro padrone, ed io del suo assassinio, Emidio D’Angelo è venuto più di una volta alla masseria dove abito sul piano fuori la porta di S. Francesco, per minacciare me se parlavo, e per ambasciate che ordinava tanto a me che a mio fratello, di fare alla famiglia Perrotti, perché gli mandasse altro denaro.
L’ho visto spesso anche nei dintorni di S. Francesco dove con frequenza insolita si aggiravano il giorno e la notte, quei della sua famiglia, cioè il padre, la madre, le due sorelle, il fratello Carlo, ed il cognato Scarfagna. Pare che il D’Angelo aspettasse in quei luoghi il prete Perrotti, il quale era solito di venire ogni giorno due o tre volte alla masseria. Quel giorno  che il D’Angelo fu sorpreso ed inseguito dai Reali Carabinieri sul piano di S. Francesco, egli stava precisamente sulla strada che era solito di fare il Canonico per portarsi alla masseria, e con lui stava la madre a discorrere subito dopo che fu messo in fuga il Canonico arrivò.
Non mi consta che i detti parenti del D’Angelo gli abbiano procurato armi e munizioni o spiati i passi del Canonico per facilitargliene il ricatto e l’assassinio. Certo è che in paese avevano ed hanno fama tristissima.
Sul principio di Novembre il D’Angelo aveva un compagno. Io non l’ho incontrai”.

“Sono Florideo Pilone di Clemente, di anni 30, beccaio nato e domiciliato in Penne, senza beni di fortuna, e senza rapporti.
Dopo il ricatto di D. Simone Perrotti, io ho sempre veduto nel piano di S. Francesco, ora il padre, ora la madre, ed ora le sorelle del D’Angelo Emidio, per tempi lunghissimi, durante il corso del giorno, trattenersi per ispiare le movenza della Forza pubblica col pretesto di pascolare i maiali: e tanto è vero che in un giorno che non ricordo, una delle sorelle per nome Arcangela, vedendomi di stare vicino la porta di San Francesco, mi si avvicinò chiamandomi spione di polizia, credendo che io ivi stazionavo per riferire alla forza pubblica ciò che loro facevano.
Il giorno diciotto Novembre ultimo, io non mi trovavo nel nominato piano di San Francesco, per ciò nulla posso deporre su quanto accadde in quel giorno, solo posso dire che circa le dodici ore sono stato avvertito da mio fratello Eugenio, che Emidio D’Angelo si trovava nelle vicinanze di una masseria di D. Simone Perrotti tenuta in affitto da un certo Toppeta, io ne avvertii la forza pubblica, che accorse sul luogo, ove lo trovò in fatti, ma perché vicino c’era la madre che gli fece cenno di fuggire non fece il caso di poterlo prendere come io istesso in tal atto mi trovai presente, ed ebbe occasione di andare”.
Prima di partire il testimone ha detto di ricordare altre circostanze relativamente al fatto, ed ha riferito che per ben due volte, a sera avanzata, in giorni diversi che non potrebbe precisare per non ricordarlo, vide ad entrare, nella prima Emidio D’Angelo ed un forestiero che parve Andrea Ursi, e nella seconda lo stesso D’Angelo ed un altro che non seppe riconoscere, nella casa di Gaetano Scarfagna.

“Sono Raffaele Mariani fu Nicola, di anni 40, fornaio nato e domiciliato a Penne senza beni di fortuna.
Gaetano Scarfagna, mio vicino di casa lo conosco per essere uomo industrioso e non dedito ad alcun vizio, lo ritengo per uomo di buona condotta, tanto più che non ho sentito mai parlare male di lui”.

“Sono Giuseppe Faga, di Simone, di anni 29, nato a Morrodoro, appuntato di P.S., di servizio a Penne. Una sera dello scorso Novembre che non ricordo, stavo appiattato con un compagno a porta S. Panfilo. Una persona che passava lestamente, invece di rispondere al chi va là, accelerò il passo e subito scomparve. Fattomi dare il fucile dalla guardia Zaccaria, inseguii quella persona. Ma inspiegabilmente non la vidi più. La mattina successiva seppi che nei pressi abitava Antonio D’Angelo, ed alcuni contadini che non conosco, mi fecero credere che ivi poteva essersi ricoverato Andrea Ursi, del quale correva voce che fosse ammalato. La stessa cosa mi ripetè a guisa di confidenza Filodoro D’Angelo cugino di Emidio. Il dubbio fu questo, che sulla casa di Antonio D’Angelo, in basso, si dice esserci antichi nascondigli, e sopra abita il medico Lauriti.
Fatta una perquisizione nulla abbiamo rinvenuto. La moglie di Antonio D’Angelo non negava che l’Ursi ci era stato per curarsi di una malattia, ma non volle nominare il medico curante”.

“Sono Vincenzo di Federico, d’ignoti, di anni 34, sarto di Penne.
Conosco Gaetano Scarfagna, ma non ho relazioni con lui, né posso quindi attestare la sua condotta. Non ho sentito parlare né bene, né male”.

“Sono Vincenzo de Fabritiis, fu Antonio, di anni 30, vetturale di Penne.
Conosco Gaetano Scarfagna mio compare. Non so se abbia avuto mai relazioni coi due evasi dal bagno di Gaeta che scorrazzavano per queste contrade.
Mi trovo in carcere sotto l’imputazione di avere ospitato in casa mia Emidio D’Angelo”.

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