Cuculetto il brigante di Penne
 
 

L’ARRESTO DI ANDREA URSI

Andrea Ursi, compagno di pena, d’evasione e di malefatte di Cuculetto, soggiornò a Penne solo per una decina di giorni. Qualche giorno dopo il sequestro del Canonico Perrotti, ritornò a San Gregorio Magno, suo paese natio in provincia di Salerno. Qui, non prima di aver commesso altri gravi reati, venne anche lui arrestato. Tutti i particolari della sua cattura sono contenuti nel verbale della Corte d’Appello di Napoli qui di seguito riportato:
“Andrea Ursi fu Pietro di anni 37 di S. Gregorio Magno.
Attesochè risulta che Andrea Ursi, da S. Gregorio, condannato nel 1861 a 29 anni di ferri per omicidio, evase dall’ottobre 1873 insieme ad un altro, dalla strada nuova di Montesecco, mentre lavorava, e dopo aver percorso le contrade Teramane, pervenne nel territorio di S. Gregorio Magno spinto dal desio di vendetta contro tal Paolo Costantino causa unica della sua condanna che a suo dire, egli solo avrebbe meritato.
Le autorità si misero in moto per catturarlo e però nella notte del 17 dicembre 1873 il Maresciallo dei Carabinieri Signor Giuseppe Benso si mise in appiattamento insieme ad altri compagni nei dintorni della casa della famiglia del d’Ursi. Ben presto il Benso vide un uomo appiattato, che egli scambiò per uno dei suoi carabinieri, e dopo poco quest’uomo gli fu sopra come un baleno e gli vibrò cinque colpi di pugnale e dopo gli tirò una fucilata a breve distanza, che fortunatamente non lo colpì, e si diede poscia a precipitosa fuga.
Il Benso disse essersi poi assicurato che il suo feritore era appunto Andrea Ursi.
Le cinque ferite furon vibrate una nella guancia sinistra, altra nel collo, la terza nella mammella, e le altre due sulla scapola sinistra, le quali apportarono incompatibilità al lavoro per giorno 15.
Nel giorno 18 Dicembre 1873 il d’Ursi s’imbattette con Luigi Robertazzi al quale disse andare in Salerno per una causa. Giunto in un vallone, nell’agro di Buccino, esso d’Urso gli spianò contro il suo fucile, e l’obbligò a consegnargli l’arma che aveva con le rispettive munizioni.
Nello stesso giorno il d’Ursi incontrò nel castagneto di Palomonte tale Onofrio Pacelli e gli depredò la somma di Lire 50 tra le 69 che erano in un portafoglio.
In un giorno dello stesso mese di Dicembre, il d’Ursi mandò a chiedere con minacce d’incendio, lire 25 e taluni abiti ad Antonio Pignataro, il quale gli mandò sole lire 10 ad onta delle ulteriori minacce fatte.
Nella sera del 23 Dicembre del medesimo anno i Carabinieri e talune Guardie Nazionali si misero in agguato all’imboccatura di S. Gregorio perché erasi saputo che dovea in quella notte il d’Ursi entrare in paese, e fra le guardie nazionali vi era tal Alfonso Alfano, al quale il d’Urso da un orto vicino tirò un colpo di fucile senza fortunatamente colpirlo, ma l’Alfano gli rispose con un colpo di fucile e il d’Ursi cadde a terra privo di sensi perdendo entrambi gli occhi per effetto della ferita che lo colpì alla faccia.
Attesochè incerti sono gl’indizi per la imputazione di mancato omicidio in persona del Benso, inperocchè oltre la dichiarazione di costui, contraddetta dal d’Ursi che tutti gli altri reati ha confermato, non s’ha altro elemento valevole a sorreggere la detta imputazione.
Attesochè ben altrimenti vuolsi ritenere per il reato in persona dell’Alfano, imperocchè le dichiarazioni di Pasquale d’Alessandro e di detto Alfano vengono rafforzate dal fatto permanente della ferita riportata in tale occasione dal d’Ursi e dalla sua stessa implicita confessione. E che vi fosse stata la volontà omicida ed i mezzi adatti a raggiungere lo scopo preposto risulta chiaro da considerare che un brigante non palesa avere che la intenzione di disfarsi di colui che l’aggrediva e metteva in pericolo la sua vita, che un brigante non poteva aver carica l’arma se non a palla, e che finalmente trovavasi a breve distanza, e se il colpo venne meno ciò derivò dall’ansia e dalla trepidazione provata nel momento in cui vedeva in pericolo la sua libertà a tanto stento guadagnata”.

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