L'OMICIDIO DI ANGELO MASSIMO CASELLI

QUARTA PARTE

L’anno milleottocentosessantasei, il giorno trenta Aprile, in Penne.
Avanti a Noi Gennaro Muzi Pretore del Mandamento di Penne è comparsa la testimone sottonotata.

Risponde: Sono Mariantonia Della Valle, figlia del fu Giovanni, di anni 50, filatrice nata e domiciliata in Penne, senza beni di fortuna, ed indifferente colle parti.
Nella notte dello avvenimento verso le ore quattro udii nella casa del mio vicino Angelomassimo Casella delle grida. Io quindi subito accorsi, e verificai che il Casella era stato mortalmente ferito. Sopraggiunse quindi anche il medico Sig. Tonno chiamato per medicare la ferita, ed essendo stato il Casella interrogato intorno all’autore ed alla causa del suo ferimento rispose che era stato ferito da Bernardo Sardini e Pietro Massimiliani, i quali gli avevano detto – Riporta quelli a posto-. Non udii altro.
Non saprei manifestarvi che cosa erano quelli che il Casella doveva riportare al proprio posto, dappoichè non mi sono interessata mai di ricapirci. Posso inoltre assicurarvi che nell’incontro io non udii che il Casella avesse significato che il Sardini ed il Massimiliani gli avessero detto pure cava piantoni di olive.
Pochi giorni dopo l’avvenimento si portò nella mia casa la domestica dei Signori Simone e Raffaele Perrotti per nome Mariuccia, onde far accomodare un paio di scarpe della sua padrona da mio marito Domenico d’Onofrio. In tale circostanza discorrendo io colla medesima ella mi domandò come stava Angelomassimo Casella, ed avendole io soggiunto che non avevano fatto bene di ferirlo i coloni dei suoi padroni, mi rispose che in quella notte ella si aveva preso una gran paura, poiché verso le ore cinque, e mentre tutti in casa dormivano, il Sardini ed il Massimiliani avevano parlato coi nominati Signori Perrotti. Essendo stata in seguito da me interpellata intorno a ciò che il Sardini ed il Massimiliani avevano detto nell’incontro, ella mi dichiarò che nulla avea udito.
Quando la suddetta domestica di Perrotti mi tenne l’indicato discorso, nessuno vi era presente, né anche mio marito il quale era uscito.
Posso assicurarvi che Pasquale Scocchia stette sempre in tenera armonia con Angelomassimo Casella, tanto che più volte quando stava ferito in letto lo andò a trovare.
Lettura e conferma, si è sottoscritta.
Maria Antonia Della Valle

L’anno milleottocentosessantasei, il giorno trenta Aprile, in Penne.
Avanti a Noi Gennaro Muzi Pretore del Mandamento di Penne è comparso il testimone sottonotato.

Risponde: Sono Domenico Laguardia, figlio di Salvatore, di anni 28, falegname nato e domiciliato in Penne, possessore di beni, ed indifferente colle parti.
Nella notte dello avvenimento di rito, io mi trovavo a transitare sotto la casa di Angelomassimo Casella, quando udii da detta casa delle grida. Vi salii e verificai che il Casella era stato gravemente ferito. Gli domandai intorno all’autore del ferimento, ed egli mi rispose che i suoi aggressori erano stati Bernardo Sardini e Pietro Massimiliani.
Non m’interessai di risapere il motivo di tale ferimento, né avvertii se il Casella avesse manifestato che il Sardini ed il Massimiliani nello assalirlo gli avessero dato la colpa di cava piante di olivi.
Dal modo di come discorreva nel citato incontro il Casella non mi parve che stesse ubbriaco. Intanto non saprei dirvi se nel momento in cui fu assalito si trovava o no nello stato di poter riconoscere i suoi offensori.
Antonio d’Angelo è amico di Antonio di Silvestre, e più volte li ho veduti insieme.
Lettura e conferma, si è sottoscritto.
Domenico Laguardia

 

L’anno milleottocentosessantasei, il giorno trenta Aprile, in Penne.
Avanti a Noi Gennaro Muzi Pretore del Mandamento di Penne è comparso il testimone sottonotato.

Risponde: Sono Simone Perrotti, fu Massimantonio, di anni 62, proprietario, e canonico della Cattedrale di Penne, possessore di beni, e padrone degli imputati, per essere costoro coloni.
Io non so se nella notte in cui fu ferito Angelomassimo Casella i coloni miei e mio fratello Raffaele Perrotti, cioè Bernardo Sardini e Pietro Massimiliani, siano stati mai in mia casa, e percui nulla posso dichiarare in proposito.
Io ignoro se i detti Sardini e Massimiliani siano stati autori del ferimento in persona del Casella.
Lettura e conferma, si è sottoscritto.
Simone Canonico Perrotti

 

L’anno milleottocentosessantasei, il giorno trenta Aprile, in Penne.
Avanti a Noi Gennaro Muzi Pretore del Mandamento di Penne è comparsa la testimone sottonotata.

Risponde: Sono Mariuccia Evangelista, figlia di Giuseppe, di anni 16, domestica della famiglia Perrotti, nata e domiciliata in Penne, senza beni di fortuna, ed indifferente colle parti.
Nella notte in cui fu ferito Angelomassimo Casella io non so se siano stati nella casa dei miei padroni Signori Raffaele e Simone Perrotti, i di costoro coloni Bernardo Sardini e Pietro Massimiliani, perché non li ho visti mai.
Io non ho detto mai a nessuno che i detti Sardini e Massimiliani nella notte dello avvenimento verso cinque ore si portarono nella casa dei suddetti miei padroni, dappoichè come ho testè narrato non ne li vidi mai.
Lettura e conferma, si è sottosegnata con una croce per essere analfabeta.

L’anno milleottocentosessantasei, il giorno trenta Aprile, in Penne.
Avanti a Noi Gennaro Muzi Pretore del Mandamento di Penne, assistiti dal Vice Cancelliere.
Viste le dichiarazioni delle testimoni Mariantonia Della Valle, e Mariuccia Evangelista; attesochè le loro dichiarazioni sono discordi; volendo da venire al confronto per risapere la verità, abbiamo fatto di nuovo venire alla nostra presenza esse testimoni le quali interrogate sulle loro generalità, e dopo gli avvertimenti di rito a norma dell’articolo 172 del Codice di procedura penale, han risposto essere Mariantonia Della Valle qualificata al foglio 36 e Mariuccia Evangelista qualificata al foglio 40.
Interrogate quindi opportunamente Mariantonia Della Valle ha sostenuto in faccia di Mariuccia Evangelista quanto appresso:
“Pochi giorni dopo l’avvenimento si portò nella mia casa questa giovane per nome Mariuccia, onde far accomodare un paio di scarpe della sua padrona da mio marito Domenico d’Onofrio. In tale circostanza discorrendo io colla medesima essa mi domandò come stava Angelomassimo Casella, ed avendole io soggiunto che non avevano fatto bene Bernardo Sardini e Pietro Massimiliani di ferirlo, mi rispose che in quella notte ella si avea presa una gran paura, poiché verso le ore cinque mentre tutti di casa dormivano, il Sardini ed il Massimiliani aveano picchiato il portone ed aveano parlato coi Signori Perrotti. Essendo stata in seguito da me interpellata intorno a ciò che il Sardini ed il Massimiliani aveano nel rincontro detto, ella mi dichiarò che nulla avea udito”.

Mariuccia Evangelista alla sua volta, ha risposto in faccia di Mariantonia Della Valle quanto appresso:
“E’ vero che io dissi tutto ciò che questa donna Mariantonia Della Valle ha fin qui narrato”.
Interrogata quindi la Evangelista del motivo percui ha taciuto alla giustizia la verità sulla sua prima dichiarazione non ha voluto rispondere.
Interrogata in seguito, se sia la verità ciò che ella disse alla testimone Della Valle, ha risposto:
“Ciò che dissi alla Della Valle è la verità”.
Lettura data l’ha confermato.
Essendoci in tal modo riusciti di conciliare i detti delle due testimoni discordi e di cui la sola Mariuccia Evangelista si è mostrata confusa, ne abbiamo elevato il presente processo verbale che dopo essere stato letto a chiara ed intelligibile voce, e confermato, si è sottoscritto da tutti gli intervenuti, meno che dalla Evangelista che essendo analfabeta si è contrasegnata con una croce.

Licenziate le precedenti testimoni è stato introdotto l’altro che ha detto essere Domenico d’Onofrio, figlio del vivente Gaetano, di anni 50, calzolaio nato e domiciliato in Penne, senza beni di fortuna, ed indifferente colle parti.
Dietro gli avvertimenti di rito, ad opportuna domanda ha dichiarato:
Pochi giorni dopo il ferimento in persona di Angelomassimo Casella, mia moglie Mariantonia Della Valle, mi diede un paio di scarpe per accomodarsi, dicendo che me li avea portate la domestica della Signora Perrotti.
Ad altra domanda ha risposto:
In tale incontro mia moglie non mi disse altro.
Lettura e conferma si è sotto segnato con una croce per essere analfabeta.

L’anno milleottocentosessantasei, il giorno trenta Aprile, in Penne.
Avanti a Noi Gennaro Muzi Pretore del Mandamento di Penne è comparso il testimone sottonotato.

Risponde: Sono Gaetano Crocetta.
Due giorni prima che fosse stato ferito Angelomasimo Casella, portandomi io dalla mia campagna in prossimità di quella del Sig. Andreoli nella Città di Penne per comperare dei finocchi che dovevano servire per un sarto che mio padre Emidio Crocetta teneva a lavorare, transitai per detta campagna del Sig. Andreoli. In questo rincontro Bernardo Sardini disse che in una notte precedente gli avevano rubato cinque piantoni di olive , e m’indicò i luoghi della campagna del Sig. Andreoli, dove erano stati spiantati. Essendo stato quindi il Sardini interrogato da me intorno a chi era stato l’autore del furto, il Sardini mi confidò che era stato Angelomassimo Casella.
Lettura e conferma, si è sottoscritto con una croce per essere analfabeta.

L’anno milleottocentosessantasei, il giorno due Maggio, in Penne.
Avanti a Noi Gennaro Muzi Pretore del Mandamento di Penne è comparso il testimone sottonotato.

Risponde: Sono Emidio Crocetta.
Uno o due giorni prima che Angelomassimo Casella fosse stato ferito, abitando io nella vicinanza della campagna del Signor Raffaele Andreoli, mi trovai di passaggio per questa campagna, ed in tale incontro l’ex colono Bernardo Sardini alla presenza pure di Pietro Massimiliani m’indicò i cinque punti che io vi additai quando veniste sopraluogo, dove nelle notti precedenti erano stati spiantati e rubati cinque piante di olive. Il Sardini quindi mi invitò a stare in guardia perché si era incominciato a scavare i piantoni.
In verità io non udii se il Sardini ne nominava autore Angelomassimo Casella, ma quel che certo vi è che subito dopo il ferimento intesi dal pubblico che il Casella aveva involati i piantoni che mancavano nella campagna del Signor Andreoli, allora coltivata dal Sardini. In questo senso io intesi di esprimermi, quando voi mi domandaste nel venire sopraluogo.
Nel dì delle ceneri io entrai nella campagna del Sig. Andreoli come colono in luogo di Sardini e Massimiliani. Nello zappare il terreno verificai che nei cinque punti dove erano stati spiantati i piantoni di olive, ci era rimasta qualche radice, che io dispersi colla zappa.
Per lo fatto dello spiantamento dei piantoni Bernardo Sardini stava molto dispiaciuto.
Lettura e conferma, non si è sotto segnato neppure per non saperlo.

 

Riepilogo
Il Pubblico Ministero
Letti i precedenti atti
A carico di
Bernardo Sardini e
Pietro Massimiliano

Rileva
Che la sera del 7 Febbraio ultimo Angelo Massimo Casella veniva ferito con un colpo di scure nella regione lombare, per il che il 13 del seguente Marzo usciva di questa vita.
Il Casella nella sua dichiarazione afferma il suo feritore essere stato Bernardo Sardini col quale, e col genero di lui, Pietro Massimiliano, si era già incontrato una prima volta avanti il ferimento.
Pasquale Scocchia, che era in compagnia del Casella come testimone di veduta, dichiara che imbattutisi col Sardini e col Massimiliano, il primo chiamava il Casella, e questi avvicinatosi riceveva dal secondo un colpo di scure.
Gli altri testimoni, alcuni depongono che il Sardini fosse il feritore, ed altri dicono che costui fosse il Massimiliano.
Ma risulta che tanto il Sardini che il Massimiliano siano gli aggressori.
Con tale giudizio si pronuncia lo Scocchia quando sostiene di aver visto ambedue gl’imputati aggredire il Casella con tale unità di azione tale da confondere, anche per l’ora tarda, gli offensori l’uno per l’altro.
Gl’imputati nei loro interrogatori han tentato di accampare un alibi, ma essi han mentito, poiché affermano nella sera del reato non aver veduto il Casella e non avere contro di costui motivi d’odio alcuno, mentre il contrario si scorge in rilievo. Diverso il testimone Vincenzo di Zio nella sera dello avvenimento vide nella via nuova presso il Convento dei Riformati Bernardo Sardini e Pietro Massimiliano, e quindi anche Angelomassimo Casella nei pressi ove si è consumato il reato. Un testimone depone come il Sardini gli mostrasse i luoghi ove gli erano stati rubati i piantoni d’ulivi, aggiunge avergli, il detto Sardini, confidato che il ladro era stato Casella. Da ciò le ragioni e l’esistenza dei rancori contro costui.
Che inoltre gl’imputati affermano di essere stati da ventiquattr’ore della sera del 7 febbraio, nella casa di Raffaele Perrotti, fino ad oltre le tre ore. A togliere poi ogni sospetto che nel passare dall’una abitazione all’altra avessero potuto fisicamente perpetrare il reato aggiungono che a voler pervenire da Penne al luogo dove quello fu commesso vi s’impiega una mezz’ora. Di contro, mentre il Perrotti accenna quasi che gl’imputati uscirono di sua casa ad un quarto prima di un’ora di notte, vi è poi con esperimento costatato che tra le due menzionate distanze non vi si impiegano che nove a dodici minuti. Il che rileva che gl’imputati ebbero modo a consumare il reo disegno. Antonio Silvestri tenta con la sua dichiarazione a riformare l’alibi posto in mostra, ma tanto costui che gli altri testimoni a discarico si scoprono a prima giunta di essere prevenuti a favore dei colpevoli. Tale giudizio trova una prova manifesta nella testimonianza degna d’una fiducia del Medico Nicola di Tonno il quale oltre che depone come il Casella si fosse seco lui conquistato, affermando che il Sardini fosse stato il suo feritore, rileva anche come il giorno appresso al reato il Silvestri si fosse dato premura di domandare il di Tonno dello stato dell’offeso, e se questi avesse fatto alcuna rivelazione. Se mai il Sardini fosse stato innocente non avrebbe mancato il Silvestri di dire che la sera innanzi colui fosse stato in sua casa come ha di poi calorosamente fatto. Lo stesso testimone Antonio D’Angelo, mentre vuol rendere reo Pasquale Scocchia, riforma però che costui era col Casella, e che quindi emerge indubitato che lo Scocchia come presente poteva ben deporre sul ferimento del Casella medesimo. Nel resto la deposizione del D’Angelo non merita alcun calcolo, poiché la reità che si assumerebbe sullo Scocchia sarebbe in contraddizione della dichiarazione istessa dell’offeso. E si ponga mente alla deposizione di Mariantonia La Valle, la quale constata l’armonia in cui vivevano il detto Scocchia ed il Casella. Quella istessa testimone per giunta dichiara che a cinque ore della notte dell’avvenimento Sardini e Massimiliano si recarono a casa dei padroni dei fondi in cui dal Casella si erano commessi i furti di sei piantoni d’ulivi, a ciò dichiara di aver saputa dalla domestica dei cennati padroni. Quest’ultima dapprima reticente riforma, in contraddizione chiamata, la deposizione di Lavalle.
Se andare a quei tali padroni dei predetti fondi, il portarvisi ad ora avanzata, il recarvisi non solo il Sardini ma anche il Massimiliano, e la reticenza della testimone hanno un significato ben chiaro della causa del reato commesso, e della colpevolezza di entrambi i prevenuti.
Che dai premessi rilievi appare che non possa farsi controversia sulla certezza che gl’imputati siano i colpevoli del maleficio perpetrato, che il Sardini avendo ferito il Casella ne sia l’agente principale, e che il Massimiliano partecipe nel disegno criminoso e nel fatto esecutivo dell’aggressione e sindacabile come complice.
Che per ciò visti gli art. 541, 534, 102 e 105 Codice penale,
Chiede
Che il Signor Giudice Istruttore riferisca alla Camera di Consiglio sui presenti atti, perché ne ordini la trasmissione al Signor Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Aquila per gli ulteriori procedimenti contro il Sardini, come agente principale, e contro il Massimiliano come complice nel ferimento apportante la morte entro i quaranta giorni in persona di Angelomassimo Casella.
Teramo, 11 Maggio 1866

Vittorio Emanuele II°
Per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia.
La Camera di Consiglio presso il Tribunale civile di Teramo, visti gli atti a carico de’ detenuti Bernardo Sardini del fu Gioacchino, di anni 60, Pietro Massimiliani del fu Antonio, di anni 29, contadini domiciliati a Penne; imputati di ferita volontaria fatta senza arma propria per cui è seguita la morte entro i quaranta giorni immediatamente successivi al reato, in persona di Angelo Massimo Casella di Penne. Articolo 541 e 534 Codice Penale, con l’aggravante della recidiva da crimine a crimine per il solo Sardini. Art. 122 Cod. penale.
Letta la requisitoria del P. M. di trasmettersi gli atti al Signor Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Aquila;
Visto il rapporto del Giudice Istruttore, senza che sia intervenuto il P.M.

….Visti gli articoli 199 e 295 Codice Penale,

  • Ordina che gl’imputati Sardini e Massimiliano rimangano nello stato di arresto;
  • E che gli atti a carico de’ medesimi siano trasmessi al Signor Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Aquila per l’ulteriore procedimento, e con l’aggravante della recidiva pel solo Sardini.
Teramo, 12 maggio 1866


Il Vice Cancelliere del Tribunale Correzionale di Teramo
Certifica che Bernardo Sardini di Penne imputato attualmente come dai precedenti atti, è riportato nel registro penale per quanto appresso:

  • Furto qualificato pel tempo e mezzo, in danno di Giuseppe Baglioni, reato avvenuto in Penne nella notte dal 13 al 14 Aprile 1840. L’abolita Corte Criminale con decisione del 31 Ottobre detto anno dichiarò non constare che il Sardini avea commesso il crimine anzidetto, ordinò la di lui libertà provvisoria;
  • Furto qualificato in danno di D. Francesco de Sanctis a Penne, ivi avvenuto in aprile 1840. Per tale carico nel registro generale non si rileva l’esito del procedimento.
  • Tentato furto qualificato pel tempo e mezzo in danno di D. Daniele Allera, reato avvenuto in Penne il 26 Settembre 1843. L’abolita Corte Criminale con decisione del dì 16 aprile 1844, divenuta esecutiva, fu condannato ad anni sei di reclusione e spese.
  • Furto qualificato a danno di Luigi Nobilio, avvenuto a Penne il 7 Ottobre 1852.  Con deliberazione del dì 11 Gennaio 1853 si ordinava la conservazione degli atti in archivio fino a nuovi lumi.
  • Furto qualificato pel tempo in pregiudizio di Raffaele e Massimantonio Bongrazio avvenuto in Penne nella notte del 28 al 29 Marzo 1854. Con deliberazione del dì 29 Maggio detto anno si ordinò conservarsi gli atti in archivio fino a nuovi lumi.
Teramo 14 Maggio 1866

 

rinvio a giudizioAquila 21 Maggio 1866
Il Pubblico Ministero
Visti gli atti a carico di

  • Bernardo Sardini, fu Gioacchino, d’anni 60;
  • Massimiliani Pietro, fu Antonio, d’anni 29,

entrambi di Penne, imputati
di ferita volontaria fatta senz’arma propria per cui è seguita la morte entro i 40 giorni immediatamente successivi al reato in persona di Angelo Massimo Casella di Penne, con l’aggravante della recidiva da crimine a crimine pel solo Sardini,
Ha rilevato il seguente fatto
Un omicidio accompagnato dalla più nera malvagità veniva commesso dall’imputato Sardini.
Angelo Massimo Caselli passava per fatti suoi andando in campagna, vide Sardini insieme a Massimiliani Pietro lungo la via. Dopo aver compiuto le sue faccende tornava nel proprio paese, ed invitato da quei due che stavano nell’istesso punto offriva loro del tabacco; in questo fu gravemente ferito alle spalle, dalla quale ferita passò da questa all’altra vita. Egli dichiarò il fatto al Magistrato che lo interrogava: morendo non si mente. Parlò di un testimone di vista, e venne udito: la sua dichiarazione si riscontra con la dichiarazione del ferito. L’imputato pone in campo un’alibi, nega la causale. La causale è vera, l’alibi è mentito.
In conseguenza il Procuratore Generale del Re, visto l’art. 437 Proc. Pen.
Chiede
che la Sezione pronunziando l’accusa ordini il rinvio degl’imputati innanzi alla Corte d’Assise del Circolo di Teramo, e si confermi la di loro cattura.

 

Vittorio Emanuele 2°
Per grazia di Dio e per volontà della Nazione
Re d’Italia

La Corte di Appello di Aquila degli Abruzzi, Sezione di Accusa, composta dai Signori Pietro Cav. Rusconi Presidente, Francesco Cav. Pantanetti, Antonio Parasassi Consiglieri.
Sentita la relazione degli atti fatta nel dì 4 corrente dal Signor Procuratore Generale del Re e datasi lettura di tutte le carte del processo formato
Contro i detenuti
Bernardo Sardini, fu Gioacchino, di anni 60;
Massimiliani Pietro, fu Antonio di anni 29;
ambedue di Penne

Imputati


di ferita volontaria fatta con arma propria per cui è seguita la morte entro i quaranta giorni immediatamente successivi al reato in persona di Angelo Massimo Caselli di Penne con l’aggravante della recidiva da crimine a crimine nel solo Sardini.

La Sezione di Accusa


Vedute tutte le carte del processo lasciate nel suddetto giorno sul tavolo di questa Corte dal predetto Signor Procuratore Generale del Re unitamente alle di lui requisitorie da lui sottoscritte, con le quali ha dichiarato che la Sezione di Accusa pronunziando l’Accusa ordini il rinvio degli imputati innanzi alla Corte di Assise del Circolo di Teramo, e confermi la di loro cattura.
Dal processo scritto ha rilevato e ritenuto il seguente


Fatto


Il contadino Angelo Massimo Caselli di Penne, la sera del 7 Febbraio corrente anno, ad un’ora e mezza circa della notte, mentre in compagnia di un tal Pasquale Scocchia faceva ritorno alla sua abitazione trovò fermi per la via nel punto denominato chiavicotto del Cuculo,  Berardino Sardini ed il costui genero Pietro Massimiliani, veduti poco prima da lui in quel medesimo luogo nel recarsi alla colonia dello Scocchia. Chiamato dal Sardini gli presentò la tabacchiera ed egli prese il tabacco. Indi il Casella nell’atto che volgeva le spalle ai due nominati individui si sentì percuotere gravemente nei lombi, per cui cadde a terra, ed il suo compagno preso dal timore davasi in fuga.
Attesochè la giudiziale perizia dell’8 Febbraio 1866 emessa dai sanitari di Tonno e Gentili fa con certezza conoscere che il Casella presentasse nella regione lombare una ferita pericolosa di vita prodotta da corpo contundente e tagliente, ed il verbale dell’autopsia eseguita dagli stessi sul cadavere dell’offeso il giorno 14 Marzo non permette dubitare che la suddetta lesione fosse l’unica causa della morte di esso Casella.
Attesochè l’incolpazione del Casella ed il deposto del testimonio oculare Pasquale Scocchia compagno di lui, provano la reità del Sardini e del Massimiliani, essendo stati concordi nel dire che gli aggressori  del Casella fossero gli stessi imputati, comunque l’uno attribuisca il colpo menato con scure a Bernardo Sardini, l’altro al Massimiliani.
Attesochè la causa a delinquere comune ad entrambi risulta provata pel detto dei testimoni Emidio e Gaetano Crocetta, i quali ebbero a riferire come il Sardini ed il Massimiliani avessero attribuito al Casella il furto di alcuni piantoni di olive commesso due giorni innanzi al ferimento in un terreno da loro colonizzato.
Attesochè l’alibi da loro accampato rimane pienamente smentito pel deposto di Maria Antonia Della Valle, Maria Evangelista, e di altri testimoni.
Attesochè il reato di che trattasi è colpito da pena criminale come agli Art. 541. 534. e 104. del Codice penale, e di più a carico dell’imputato Sardini si verifica la recidività da crimine a crimine, per cui la pena ordinaria al medesimo dovuta è da aumentarsi ai termini dell’Art. 722 dello stesso Codice.
Per questi motivi
Si pronunzia l’accusa contro i nominati Bernardo Sardini di anni 60 e Pietro Massimiliani di anni 29 di Penne per ferita volontaria fatta senza arma propria per cui è seguita la morte entro i quaranta giorni immediatamente successivi al reato in persona di Angelo Massimo Casella con l’aggravante della recidiva da crimine a crimine per solo Sardini Art. 534. 541 e 122. Codice penale.
Si rinvia innanzi alla Corte d’Assise del Circolo di Teramo per essere giudicati in conformità di legge sull’atto di accusa che sarà formato dal Signor Procuratore Generale del Re.
Conferma la loro cattura e ne ordina la traduzione nelle carceri giudiziarie di questa Città, ove già non vi ci si trovino.
Ordina che questa sentenza sia notificata agli accusati suddetti in termini dell’ Art. 443. del Codice di procedura penale.
Dichiara in fine essersi osservate tutte le formalità prescritte dall’Art. 427 dello stesso Codice.
Dato in Aquila degli Abruzzi nel Palazzo della Corte di Appello il dì 6 Giugno 1866.

Aquila, 10 Giugno 1866
Il Pubblico Ministero presso la Corte di appello di detta Città.
In seguito della Sentenza della Sezione di Accusa del dì 6 Giugno 1866, espone quanto segue:
Il contadino Angelo Massimo Casella di Penne la sera del 7 Febbraio scorso, ad un’ora e mezzo di notte, mentre in compagnia di Pasquale Scocchia faceva ritorno alla sua abitazione, trovò fermi per la via nel punto denominato chiavicotto del Cuculo i suoi compaesani Bernardo Sardini, ed il genero Pietro Massimiliano, e propriamente in quel luogo istesso dove gli avea veduti passando allorchè si recò alla colonìa dello Scocchia.
Il Sardini lo chiamò, e Casella avvicinandosi con la tabacchiera gli offrì del tabacco che prese. Nel rivoltarsi che fece onde proseguire il cammino si sentì colpire gravemente nei lombi, e cadde a terra. Il compagno preso da timore fuggì.
Denunciato il fatto all’Autorità si affrontava la parte generica, ed i periti sanitari trovarono nel Casella una ferita nella regione lombare prodotta da corpo tagliente, che giudicarono pericolosa di vita. Pericolo che tosto si verificò, e con l’autopsia cadaverica si constatò che causa unica della morte del Casella fu la sua ferita.
Dal momento del ricevuto colpo fino all’altro in che quest’ultimo cessò di vivere indicò per suoi offensori Sardini e Massimiliano, e precisamente il primo quale autore della ferita. Queste sue replicate dichiarazioni sono confermate dal testimone di vista, e compagno del Casella, Pasquale Scocchia, sebbene discordi in quanto al feritore, che dallo Scocchia si indicherebbe Massimiliano. Però nell’agitazione e paura del testimone, che subito si dette in fuga, è a ritenersi che bene non distinguesse chi dei due ferì con la scure il Casella. Certo sempre però che la causa a delinquere fu comune ad entrambi poiché ambedue aveano attribuito al Casella il furto di alcune piante di olivo, commesso due giorni innanzi in un terreno da loro tenuto in colonìa.
Interrogati i prevenuti negavano il fatto e si accamparono in un’alibi, ma questo, oltreché non provato, restò smentito da altri testimoni che nel giorno ed ora dell’avvenimento l’incontrarono nel luogo del commesso reato.
Infine l’accusato Sardini trovasi imputato e condannato per altri crimini, e quindi sul di lui conto si verifica la recidività.
In conseguenza
Lo stesso Pubblico Ministero accusa Bernardo Sardini fu Gioacchino di anni 60, contadino di Penne;
Pietro Massimiliani fu Antonio di anni 29, contadino di detto luogo, ambedue detenuti, di ferita volontaria fatta senz’arma propria per cui è seguita la morte entro i 40 giorni immediatamente successivi al reato in persona di Angelo Massimo Casella, con l’aggravante della recidiva da crimine a crimine per solo Sardini Art. 534, 541 e 122 Codice Penale.
E chiede che si proceda contro i medesimi, ai termini del rito per l’anzidetto reato ed aggravante, innanzi la Corte di Assise del Circolo di Assise di Teramo.
Il Procuratore del Re

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