L'OMICIDIO DI ANGELO MASSIMO CASELLI

SESTA PARTE

VERBALE DI DIBATTIMENTO

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L’anno milleottocento sessantasei il giorno ventiquattro del mese di Ottobre alle ore otto e mezzo antimeridiane in Teramo.
La Corte di Assise del Circolo di Teramo, composta dai signori Consigliere Luigi Fava, Presidente, Giovanni Fiocca e Girolamo Quadri, Giudici, coll’intervento del Ministero Pubblico, rappresentato dal Sostituto Procuratore del Re Signor Francesco Grisolia ed assistenza del Vice-Cancelliere del Tribunale Federico Micheletti funzionante da Cancelliere di questa Corte di Assise.
Riunitasi nella sala di sue pubbliche udienze, come dal verbale di composizione del Giurì or ora redatto per procedere al dibattimento della causa a carico dei carcerati Bernardo Sardini, fu Gioacchino di anni 60, nato e domiciliato in Penne, contadino, coniugato, e Pietro Massimiliani, fu Antonio, nato a Cellino, e domiciliato in Penne, di anni 29, contadino coniugato.
Ed essendo già li accusati suddetti il difensore sig. Avvocato Achille Ginaldi ed i quattordici Giurati ai posti loro rispettivamente assegnati, come nel succennato verbale.
D’ordine del Presidente sono stati schiusi gl’ingressi della suddetta sala custoditi dalla forza pubblica; e l’usciere di servizio ha annunciato che l’udienza è aperta, ed ha curato che ne rimanessero fuori i testimoni da udirsi per la causa in parola.
Il Presidente ha interrogato li accusati sulle loro generalità e li stessi hanno risposto chiamarsi come avanti sta scritto.
Indi lo stesso Presidente ha fatto alli accusati e difensore l’avvertenza di che nell’art. 366 del regolamento generale giudiziario.
Poscia il Presidente medesimo ha letto ai Giurati la formola del giuramento nei precisi termini contenuti nell’art. 487 del Codice di procedura penale.
Chiamati quindi ad uno ad uno i suddetti quattordici Giurati secondo l’ordine dell’estrazione loro, ciascuno di essi ha toccata con la destra la formola del giuramento ed ha detto: lo giuro.
Il Presidente ha in seguito avvertito li accusati di stare attenti a ciò che saranno per udire.
Il Cancelliere ha letto ad alta voce la sentenza di rinvio delli accusati avanti a questa Corte di Assise e l’atto di accusa; dopo la quale lettura il Presidente ha spiegato in succinto il contenuto nell’atto di accusa, ed ha detto alli accusati: ecco di che siete accusati; ora sentirete le prove che si hanno contro di voi.
Il Ministero Pubblico ha presentata la lista dei testimoni da esaminarsi nella presente causa a di lui richiesta.
Ed il Cancelliere ad alta voce ne ha data lettura.
Il Presidente, per mezzo dell’usciere di servizio, ha chiamato all’udienza i testimoni citati per la causa in esame, e fattosene l’appello nominale, si sono trovati presenti li Scocchia Pasquale, Crocetta Colomba, di Zio Vincenzo, Lavalle Mariantonia, Maddalena Nardelli, Tommaso Toppeta, Antonio D’Angelo, Raffaele Perrotti, è mancante il di Tonno Nicola per malattia giustificata (N. d. R. - vedasi seguente certificazione medica allegata).

Attestiamo noi sottoscritti professori sanitarii, che D. Nicola di Tonno da quattro giorni in qua è affetto da ritenzione di orina per emorroidi infiammate, perciò è inabile a poter viaggiare in qualunque modo. Del vero abbiamo rilasciato il presente attestato per uso della Giustizia penale.
Penne, 22 Ottobre 1866

Nicola Lauriti
Vincenzo Gentili

Il Pubblico Ministero rinuncia all’audizione del testimone Nicola di Tonno, la difesa ha nulla da osservare in proposito. La Corte dà atto della rinuncia del Pubblico Ministero, ed ordina procedersi oltre il dibattimento.
Ad analogo invito il Presidente, il Ministero Pubblico, li accusati ed il difensore hanno dichiarato di non aver motivi di ripulsa che possano preliminarmente decidersi.
I testimoni presenti si son fatti quindi ritirare nelle camere loro destinate, dalle quali non possono né vedere né udire ciò che si fa nella sala di udienza, né comunicare con alcuno prima del loro esame.
Dopo ciò il Presidente ha interrogato li accusati sui fatti che costituiscono il soggetto dell’accusa e li stessi hanno ripetuto quanto dissero nei loro precedenti interrogatori.
Il Cancelliere per ordine del Presidente ha dato lettura dei documenti dati in nota dal Ministero Pubblico.
Il Presidente ha fatto osservare che ora incomincia l’esame dei testimoni presenti, i quali saranno interrogati separatamente l’un dopo l’altro, per modo che il secondo non sia presente all’esame del primo e così successivamente come appresso.

Introdotta nella sala di udienza la Maria Giuseppa Falzani, il signor Presidente l’avverte che sebbene come parte lesa non debba prestare giuramento, tuttavia essa ha l’obbligo di dire tutta la verità, e null’altro che la verità, rammentandole le pene stabilite dagli articoli 365, 366, 369 e 373 del Codice Penale contro i testimoni falsi o reticenti.
A dimanda ha risposto di chiamarsi Maria Giuseppa Falzani, fu Sabatino di anni 50, moglie dell’estinto Angelo Massimo Casella, contadina nata e domiciliata a Penne.
Interrogata analogamente, la medesima conferma le sue dichiarazioni scritte, dicenti che suo marito le narrò che entrambi li giudicabili erano colpevoli dell’omicidio, dappoichè il Bernardo Sardini se lo era fatto accostare chiamandogli del tabacco, e Massimiliani approfittò di quella circostanza per dargli un colpo di scure: aggiunge che li testimoni messi a discarico sono persone sospette, perché Antonio D’Angelo e Tommaso Toppeta furono condannati a pene criminali; Raffaele Perrotti era socio degli imputati, Maddalena Nardelli è sospetta perché ha il marito in galera. Nulla ha da dire contro Maria Rossi.

Introdotto nella sala di udienza Pasquale Scocchia.
Il signor Presidente gli ha fatto una seria ammonizione sulla importanza di tale atto, rammentandogli le pene stabilite contro i colpevoli di falsa testimonianza o di reticenza negli articoli 365, 366, 369 e 373 del codice penale. E dopo ciò il testimone, stando in piedi e con la mano destra sopra i santi evangeli, ha giurato di dire tutta la verità, null’altro che la verità.
A dimanda, ha risposto chiamarsi Pasquale Scocchia, di padre incerto, di anni 33, nato e domiciliato in Penne, contadino.
Ha dichiarato che conosceva li accusati prima del fatto che forma il soggetto dell’accusa: non essere congiunto, affine o dipendente dei medesimi.
Interrogato analogamente, conferma la sua dichiarazione scritta, spiegando che poco passate le ore ventiquattro del sette febbraio 1866, venne da lui Angelo Massimo Casella, e dopo essersi trattenuto circa un’ora e mezza lo accompagnò a casa , ed avendo avuto presso il Convento  l’incontro dei due giudicabili, Bernardo Sardini chiese del tabacco a Casella, e mentre lo prendeva disse:”ci fu un tal Crocetti, che dopo aver preso tabacco, uccise” ed in quell’atto sentì menarsi un colpo al Casella, e questi dire: “Pietro non mi menà”, difatti Pietro Massimiliani, aveva la scure, e Bernardo Sardini no. In ciò vedere, esso dichiarante, per timore fuggì, e tutti e due li giudicabili lo inseguirono senza raggiungerlo: aggiunge infine che quando egli udì il colpo, Bernardo Sardini stava a destra, e Pietro Massimiliani a sinistra, entrambi dietro al Casella, che li precedeva.

Introdotta nella sala di udienza Colomba Crocetta.
Il signor Presidente le ha fatto una seria ammonizione sulla importanza di tale atto, rammentandole le pene stabilite contro i colpevoli di falsa testimonianza o di reticenza negli articoli 365, 366, 369 e 373 del codice penale. E dopo ciò la testimone, stando in piedi e con la mano destra sopra i santi evangeli, ha giurato di dire tutta la verità, null’altro che la verità.
A dimanda, ha risposto chiamarsi Colomba Crocetta, fu Giuseppangelo, di anni 40, nata e domiciliata in Penne, contadina.
Ha dichiarato che conosceva li accusati prima del fatto che forma il soggetto dell’accusa: non essere congiunto, affine o dipendente dei medesimi.
Interrogata analogamente, conferma la sua dichiarazione scritta, spiegando che l’Angelo Massimo Casella le disse, che entrambi i giudicabili erano stati i suoi aggressori, che uno lo aveva domandato per chiedergli tabacco, e che l’altro lo aveva ferito senza manifestare chi dei due, venendo tacciato da ambedue di ladro di olivi: essa non si avvide che il Casella fosse ebbro, e parlava anzi bene.

Introdotto nella sala di udienza Vincenzo di Zio.
Il signor Presidente gli ha fatto una seria ammonizione sulla importanza di tale atto, rammentandogli le pene stabilite contro i colpevoli di falsa testimonianza o di reticenza negli articoli 365, 366, 369 e 373 del codice penale. E dopo ciò il testimone, stando in piedi e con la mano destra sopra i santi evangeli, ha giurato di dire tutta la verità, null’altro che la verità.
A dimanda, ha risposto chiamarsi Vincenzo di Zio, di Ciro, di anni 41, nato e domiciliato in Penne, contadino.
Ha dichiarato che conosceva li accusati prima del fatto che forma il soggetto dell’accusa: non essere congiunto, affine o dipendente dei medesimi.
Interrogato analogamente, il medesimo conferma la sua dichiarazione scritta, spiegando che a circa mezza ora di notte passò presso il Convento dei Riformati, e veniva seguito dai due Giudicabili coi quali si scambiò la buona sera: fatti pochi passi più non li vide, e non fece attenzione se taluno di essi portasse accetta: fatti pochi altri passi trovò l’Angelo Massimo Casella, che da Penne discendeva verso il Convento. Nel mattino seguente essendosi recato dal Casella, questi gli disse, che era stato aggredito dai due giudicabili, senza che siasi accorto da chi dei due fosse stato ferito.

Introdotta nella sala di udienza Mariantonia Lavalle.
Il signor Presidente le ha fatto una seria ammonizione sulla importanza di tale atto, rammentandole le pene stabilite contro i colpevoli di falsa testimonianza o di reticenza negli articoli 365, 366, 369 e 373 del codice penale. E dopo ciò la testimone, stando in piedi e con la mano destra sopra i santi evangeli, ha giurato di dire tutta la verità, null’altro che la verità.
A dimanda, ha risposto chiamarsi Maria Antonia La Valle, fu Giovanni, di anni 50, nata e domiciliata in Penne, contadina.
Ha dichiarato che conosceva li accusati prima del fatto che forma il soggetto dell’accusa: non essere congiunto, affine o dipendente dei medesimi.
Interrogata analogamente, la medesima conferma la sua dichiarazione scritta, aggiungendo che la Mariuccia Evangelista le narrò, che nell’aprire il portone udì dire dalli giudicabili a Simone Perrotti: “è fatto il fatto”.

Introdotta nella sala di udienza la Mariuccia Evangelista.
Il signor Presidente le ha fatto una seria ammonizione sulla importanza di tale atto, rammentandole le pene stabilite contro i colpevoli di falsa testimonianza o di reticenza negli articoli 365, 366, 369 e 373 del codice penale. E dopo ciò la testimone, stando in piedi e con la mano destra sopra i santi evangeli, ha giurato di dire tutta la verità, null’altro che la verità.
A dimanda, ha risposto chiamarsi Mariuccia Evangelista, di Giuseppe di anni 16, nata e domiciliata in Penne, domestica di quel Pretore.
Ha dichiarato che conosceva li accusati prima del fatto che forma il soggetto dell’accusa: non essere congiunto, affine o dipendente.
Interrogata analogamente, la medesima conferma la sua dichiarazione scritta spiegando, che lor quando i due giudicabili a cinque ore di notte entrarono nella casa delli allora suoi padroni Perrotti, intese il Bernardo Sardini a dire al Canonico Simone Perrotti, “è fatto il fatto”: se essa non fece questa dichiarazione lorchè fu esaminata nel processo, si è perché il detto Canonico le intimò di non far cenno di tale circostanza: detti giudicabili quella sera entrarono per un portone, ed uscirono per un altro, che passa per la cantina.
In questo punto l’accusato Bernardo Sardini fa osservare che la Mariuccia Evangelista rubò alli signori Perrotti, e che dubitando essere stata la moglie di esso accusato, che l’abbia denunziata per vendetta e mise ora l’anzidetta dichiarazione.

Il Pubblico Ministero presenta un rapporto del Signor Pretore del Mandamento di Penne, ed alcuni certificati penali concernenti li testimoni presentati dalli accusati in loro discarico, e chiede che il Signor Presidente nei suoi poteri discrezionali ne ordini la lettura.
Il difensore delli accusati si oppone alla domanda del Pubblico Ministero.
Il Presidente ritenuto che l’articolo 478 del Codice di Procedura Penale dà facoltà al Presidente delle Assise, durante il dibattimento, di far tutto quello che stima utile per scoprire la verità, ordina darsi lettura delli documenti come presentati dal Pubblico Ministero.
La difesa protesta di ricorso.
Il Cancelliere dà lettura dei documenti come sopra presentati dal Pubblico Ministero.

Introdotta nella sala di udienza la Maria Rossi.
Il signor Presidente le ha fatto una seria ammonizione sulla importanza di tale atto, rammentandole le pene stabilite contro i colpevoli di falsa testimonianza o di reticenza negli articoli 365, 366, 369 e 373 del codice penale. E dopo ciò la testimone, stando in piedi e con la mano destra sopra i santi evangeli, ha giurato di dire tutta la verità, null’altro che la verità.
A dimanda, ha risposto chiamarsi Maria Rossi, fu Nicola, di anni 60, nata e domiciliata in Penne, filatrice.
Ha dichiarato che conosceva li accusati prima del fatto che forma il soggetto dell’accusa: non essere congiunto, affine o dipendente dei medesimi.
Interrogata analogamente, la medesima conferma la sua dichiarazione scritta esistente.

Introdotto nella sala di udienza Raffaele Perrotti.
Il signor Presidente gli ha fatto una seria ammonizione sulla importanza di tale atto, rammentandogli le pene stabilite contro i colpevoli di falsa testimonianza o di reticenza negli articoli 365, 366, 369 e 373 del codice penale. E dopo ciò il testimone, stando in piedi e con la mano destra sopra i santi evangeli, ha giurato di dire tutta la verità, null’altro che la verità.
A dimanda, ha risposto chiamarsi Raffaele Perrotti, di Massimantonio, di anni 61, nato e domiciliato in Penne, Proprietario.
Ha dichiarato che conosceva li accusati prima del fatto che forma il soggetto dell’accusa: non essere congiunto, affine o dipendente dei medesimi.
Interrogato analogamente, il medesimo conferma il contenuto della terza posizione dedotta a discarico delli accusati.
A questo punto il difensore delli accusati dichiara di rinunciare alla audizione degli altri tre testimoni a discarico, e chiede che li medesimi siano licenziati; Il Pubblico Ministero nulla ha da opporre in proposito.
 La Corte dà atto della rinuncia fatta dalla difesa, ordina licenziarsi i tre testimoni Maddalena Nardelli, Tommaso Toppeta, Antonio D’Angelo, e proseguirsi oltre al dibattimento.
Indi il Ministero Pubblico, sull’invito del Presidente, ha dato la sua orale e motivata requisitoria con la quale ha chiesto che li Signori Giurati pronuncino il loro verdetto, col quale dichiarino il Bernardo Sardini, e Pietro Massimiliani colpevoli della ferita, che produsse fra quaranta giorni immediatamente successivi la morte dell’offeso Angelo Massimo Casella.
In seguito il signor Avvocato Achille Ginaldi difensore delli accusati ha proposto le difese a favore delli stessi ed ha chiesto un verdetto d’incolpabilità per entrambi: In via subordinata nel caso che li Giurati credessero di ritenere il Bernardo Sardini colpevole dell’anzidetta ferita, chiede il di lui favore l’ammissione delle circostanze attenuanti.
Li accusati medesimi opportunamente richiesti dal Presidente ha detto di non aver altro ad aggiungere in loro difesa.
Il Presidente ha quindi dichiarato chiuso il dibattimento, ha riassunto brevemente la discussione, facendo notare a li Giurati le principali ragioni addotte contro e in favore delli accusati; ha rammentato loro i doveri che sono chiamati ad adempiere.
Sull’invito del Presidente i dodici Giurati componenti il Giurì si son ritirati nella camera assegnata alle loro deliberazioni, la cui porta è stata quindi chiusa, rimanendo i due Giurati supplenti signori Petrei Leopoldo, e Pallotta Vincenzo ai loro posti, senza comunicare con alcuna persona.
Il Presidente ha quindi ordinato all’usciere di servizio ed al Capo della forza pubblica di far custodire l’entrata della suddetta camera, siccome è stato eseguito.
Rimanendo tuttavia pubblica l’udienza ed i componenti la Corte di Assise, il Ministero Pubblico, il Cancelliere e il difensore delli accusati nei rispettivi loro posti, dopo circa tre quarti d’ora i dodici Giurati sono rientrati nella sala di udienza, ed il Presidente ha domandato loro quale sia il risultato della loro deliberazione.
Allora il Capo dei Giurati alzatosi in piedi e tenendo la mano destra sul cuore, ha detto: Sul mio onore e sulla mia coscienza la dichiarazione dei Giurati è questa. La dichiarazione dei Giurati è stata sottoscritta dal loro Capo e consegnata nelle mani del Presidente, il quale alla presenza dei Giurati e della Corte l’ha sottoscritta e fatta sottoscrivere dal Cancelliere.
Indi il Cancelliere in presenza delli accusati richiamati in udienza ha dato lettura della suddetta dichiarazione dei Giurati.
Poscia il Ministero Pubblico, previo invito del Presidente, ha fatto la sua requisitoria per l’applicazione della legge, ed ha chiesto che questa Corte di Assise voglia condannare Bernardo Sardini a venti anni di lavori forzati, e Pietro Massimiliani ad anni quindici della stessa pena, all’interdizione, ai danni, ed alle spese del procedimento.
Il difensore Signor Avvocato Achille Ginaldi ha arringato a favore delli accusati Sardini, e Massimiliani in quanto all’applicazione della legge, chiedendo il minimum della pena, gli accusati Pietro Massimiliani e Bernardo Sardini i  quali han avuto la parola in ultimo luogo, hanno detto non avere altro ad aggiungere in loro difesa.
La Corte di Assise si è quindi immediatamente ritirata nella camera del consiglio.
Tornata la Corte medesima dopo circa tre quarti d’ora nella sala di pubblica udienza, il Presidente, in presenza del Ministero Pubblico, del Cancelliere, delli accusati, del difensore, e del pubblico, ha ad alta voce pronunziato la sentenza.
In Nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele II° per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia.
La Corte d’Assise del Circolo di Teramo, composta dai signori Luigi Fava Presidente, Giovanni Fiocca e Girolamo Quadri, Giudici; ha profferta la seguente


Sentenza


Nella causa del Pubblico Ministero contro

  • Bernardo Sardini, fu Gioacchino, di anni 60, contadino nato e domiciliato in Penne;
  • Pietro Massimiliani, fu Antonio, di anni 29, contadino nato (?) e domiciliato a Penne

Accusati


Di ferita volontaria fatta senz’arma propria per cui è seguita la morte entro i 40 giorni immediatamente successivi al reato in persona di Angelo Massimo Casella, con l’aggravante della recidiva da crimine a crimine pel solo Sardini.
Udita in pubblica udienza la lettura dei verbali ed altri documenti relativi al reato anzidetto.
Uditi gli interrogatorii degli accusati, e le orali deposizioni dei testimoni.
Udito nelle sue orali conclusioni il Pubblico Ministero rappresentato dal sostituto Regio Procuratore Signor Francesco Grisolia, e tenute presenti le deduzioni del difensore Signor Achille Ginaldi, e degli accusati stessi che ebbero gli ultimi la parola.
Poiché i Giurati col loro verdetto hanno dichiarato Pietro Massimiliani colpevole di ferita volontaria a colpi di scure sulla persona di Angelo Massimo Casella lungo la via pubblica e presso il Convento di Penne la sera del sette febbraio 1866, ferita che per propria natura ha cagionata la morte del detto Casella fra i 40 giorni immediatamente successivi; e Bernardo Sardini colpevole di complicità necessaria dello stesso reato, col beneficio ad ambedue delle circostanze attenuanti.
Considerato che la pena per le ferite che recano la morte fra i 40 giorni è quella stessa irrogata per l’omicidio volontario, giusti gli articoli 541 e 534 Codice Penale, cioè quella dei lavori forzati per anni venti.
Che da tale pena in favore del Massimiliani devesi discendere di un grado per le circostanze attenuanti a norma dell’articolo 654 Codice medesimo.
Che quanto all’accusato Sardini la difesa che si dovrebbe operare a tale titolo viene neutralizzata dall’aumento di almeno di un grado, stante la sua recidività da crimine a crimine, essendo stato già condannato a sei anni di reclusione per furto con sentenza dei 16 Aprile 1844 divenuta operativa. Perciò è il caso di lasciare intera quella dei lavori forzati a tempo al massimo.
Per questi motivi
Visti gli articoli 541, 534, 4, 103, 104, 684, 122, 21, 29, 75 Codice Penale, e 568, 569 Codice procedura penale condanna l’accusato Bernardo Sardini alla pena di anni venti di lavori forzati, e l’accusato Pietro Massimiliani alla stessa pena dei lavori forzati per anni quindici.
Condanna entrambi all’interdizione dai pubblici uffici, all’interdetto legale durante la pena, e solidamente all’indennità che di ragione verso gli eredi dello estinto Casella, ed alle spese del procedimento.
Teramo, ventiquattro Ottobre 1800sessantasei.

In seguito di ciò lo stesso Presidente ha avvertito i condannati Pietro Massimiliani e Bernardo Sardini della facoltà che loro compete di ricorrere in cassazione fra tre giorni.
Il medesimo Presidente ha infine dichiarata sciolta l’udienza.
Di tutto ciò si è redatto il presente verbale, e chiuso alle ore cinque pomeridiane del giorno 24 del mese di ottobre milleottocentosessantasei.

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