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Primo disco 45 giri ( latoA/B)

IL TESTO DELLA CANZONE ~ Con questo colore sono riportate le note, tutte suffragate da documenti ufficiali in mio possesso.

MOLTE SONO LE STORIE CHE CIRCOLANO SUL BRIGANTE DI PENNE (Emidio D’Angelo detto Cuculetto, nato a Penne il 3 maggio 1843 da Tommaso alias Cucùlo e Angela Rosa Barbacane), MA QUELLA VERA IO SOLO VE LA POSSO RACCONTA’ PERCHE’ PROPRIO LUI, SPARACANNONE (questo alias non risulta da nessuna parte, probabilmente è stato inventato dal cantastorie), LA RACCONTO’ A MIO PADRE E PADREME A ME.
PER CIO’ DIFFIDATE DELLE ALTRE STORIE.

FORZA CON SA’ FISARMONICA.

Un arciprete avaro chiamò un contadino, gli disse questa frase: ti servono i quattrini? Se li vuoi guadagnare devi farmi un favore, con una palla al cuore mi devi liberar del socio mio che è un gran ladrone, vende il bestiame e i soldi se li tiene. E’ un anno che mi piglio stò veleno, per questo fatto tu gli ha da sparà.

Poi non aver paura di essere scoperto, farò da testimone che tu eri con me.
Passò un giorno solo e il socio fu trovato col cranio fracassato vicino al casolar
(il 29 agosto 1864 verso le ore 18.00 Cuculetto uccise con una pugnalata tale Francesco Di Giovanni di anni 37 detto “Tenente”, sulla piana di San Francesco, poco distante dalla porta monumentale, alla presenza di diverse persone. Alcuni testimoni, durante il processo, raccontarono che i due fossero in astio perché avevano litigato un mese prima durante una “passatella” giocata dentro la cantina di Elisabetta Di Filippo detta "La Vozzese").
Ma presto fu scoperto l’assassino. Nacque così la storia del brigante. Tremavan di paura tutti quanti. Finchè un gendarme un giorno l’arrestò (venne arrestato in data 4 ottobre 1864, verso le ore 14.00, dai Carabinieri Reali – Priri Luigi, Barello Giuseppe, Bruno Filomeno e Miscia Luigi - che lo scovarono rintanato in una cascina ubicata nei pressi del cimitero di Penne. Aveva ancora con sé l’arma del delitto).

Il povero assassino, il giorno del processo, cercava l’arciprete per farsi discolpar. Ma il triste don Vitale (il nome del prete era Simone Perrotti di Massimantonio) si diede ammalato, perciò fu condannato a vent’anni da scontar (negli atti di questo processo il prete non figura né come testimone, né come persona informata sul fatto delittuoso. Solo durante un interrogatorio avvenuto nel carcere giudiziario di Teramo, prima del processo del 1875 per l'uccisione dello stesso, Cuculetto fece mettere a verbale che lui si era prestato ad eliminare fisicamente Francesco Di Giovanni detto "Tenente", nel 1864 - dunque dieci anni prima -, perchè assoldato - gli furono promessi 300 ducati e una masseria da gestire come soccio - e convinto dal Perrotti e dal di lui fratello Raffaele).
Alla fortezza tutto incatenato
(la fortezza non è, come si crede, quella del bagno borbonico di Pescara, chiusa ai condannati ai lavori forzati nel 1863 dall'allora prodittatore degli Abruzzi dell'Italia unitaria, il pennese Clemente De Caesaris. Cuculetto soggiornò in questo carcere nel 1876, solo per un breve periodo in attesa della sentenza della Corte di Cassazione alla quale si era appellato) l’hanno racchiuso con la palla al piede. Giurò di vendicarsi il condannato. Dopo sei mesi evaso era già (Cuculetto evase il 20 ottobre 1873 dal carcere di Gaeta in compagnia di Ursi Andrea galeotto per omicidio della provincia di Salerno. L'evasione avvenne dopo nove anni dalla condanna).

Passò boschi e montagne finchè arrivò a Penne. Piangeva dalla gioia quando in paese entrò (arrivò a Penne, unitamente al compagno di evasione, il giorno 30 del mese di ottobre dell'anno 1873).
Davanti alla sua casa pensò di perdonare, ma il prete traditore decise d’accoppar (risulta che il prete venne ucciso per non aver mantenuto la promessa di versare altro denaro, una volta rilasciato, dopo il sequestro per estorsione commesso da Cuculetto nei giorni 4 e 5 novembre 1873. Successivamente, in un verbale d'interrogatorio tenutosi nel carcere giudiziario di Teramo, Cuculetto dichiarò che uno dei motivi che avevano fatto scattare in lui il desiderio di fare del male all'arciprete, era scaturito dalla pubblicazione per le vie di Penne di un manifesto col quale si annunciava che il prete dava una taglia di 800 lire a chiunque lo avesse consegnato alle autorità vivo o morto).
E nella notte triste e silenziosa nessuno lo vedette ritornare, aveva un archibugio nel pagliaro, lo prese e lentamente al bosco andò (lo schioppo venne “scippato” al guardaboschi Errico Frattaroli aggredito a colpi di bastone il giorno 29 ottobre 1873 a Civitaquana. In quella occasione Cuculetto e il suo compagno d'evasione indossavano ancora la divisa da galeotto).

A Penne e a Pescara fu data la notizia (dell'evasione di Cuculetto il direttore del bagno di Gaeta avvisò il Pretore di Penne con un telegramma inviato in data 11 novembre 1873 alle ore 16.10) e la gendarmeria tosto il prete avvisò. Allora don Vitale morendo di paura, per vivere sicuro, si fece accompagnar da quattro contadini del paese, tutti robusti e forti come querce.  A una chiesuola fuori nella campagna,(non è proprio così) la messa lui doveva andare a dir.

Intanto il condannato nel bosco (località “Costacomacchio”) era appostato, con l’archibugio in mano li stava ad aspettar. E quando arrivò il prete assieme ai contadini, uscì da la baracca che un uomo gli affittò (la capanna in contrada Marzengo-Colle Stella servì solo per nascondere il prete durante il periodo del sequestrato - la notte tra il 4 e il 5 di novembre 1873 -). Puntò lo schioppo e disse: voi non c’entrate! Lasciatemi parlare con l’arciprete. Pensate a moglie e figli che ci avete. Tornate indietro e lui resta con me (il cantastorie confonde e unisce due episodi dell’attività criminale di Cuculetto: il sequestro di persona con richiesta di riscatto perpetrato la sera del 4 novembre 1873 e l’omicidio commesso il giorno 25 dello stesso mese).

Allora i contadini un poco intimoriti, dissero all’arciprete, voi l’avete tradito. Abbiamo mogli e figli, perciò torniamo a casa. E’ una faccenda vostra sbrigatevela voi.
E rimanette il prete con l’evaso, in mezzo alla foresta del paese
(L'incontro tra Cuculetto e il prete avvenne dentro all’impervio fosso Serpacchio, detto anche fosso Ossicelli, dai locali chiamato “Lu foss di Francalang” qualche centinaio di metri a monte dal punto in cui si immette nel fiume Tavo. Quando Cuculetto sorprese il prete, questi stava nei paraggi del citato fosso a dirigere dei lavori eseguiti sopra un terreno di sua proprietà in compagnia di Antonio Barbacane, suo soccio di quella masseria, Donato Melloni, contadino confinante prestatore d'opera e Giuseppe Toppeta, soccio di una sua altra proprietà ubicata nei pressi della Piana di San Francesco). Per colpa tua vent’anni m’hanno dato. E’ morto il soccio ma crepi anche tu (non risulta da nessuna parte che Francesco Di Giovanni detto "Tenente", al momento in cui venne ucciso da Cuculetto il 29 agosto del 1864, fosse soccio del Perrotti. Risulta però che l'assassinato avesse tagliato delle piante d'ulivo di proprietà dell'arciprete. Il Di Giovanni pare avesse provocato altri danni anche nei confronti di alcuni magazzini che Perrotti teneva a Penne).

Poi mise sulle spalle del prete traditore, un sasso assai pesante (agli atti del processo questo particolare non risulta) e lo fece camminar per tutta la foresta, finchè stanco e spossato, col sasso abbracciato, cascò e li morì (in contrada Serpacchio, il giorno 25 novembre 1873, attorno alle ore 8). Perché il pugnale del vendicatore, senza sfregiarlo gli passò il cuore (sette pugnalate di cui due, quella all’ombelico e quella al polmone, risultarono mortali). Fuggì braccato da cento gendarmi. Li uccise tutti e poi si consegnò (senza uccidere nessun gendarme Cuculetto fu arrestato la notte del 7 dicembre 1873, dopo un conflitto a fuoco in cui rimase ferito ad una gamba, dai Reali Carabinieri – Pizzolato Angelo (per questa azione gli venne conferita l'onorificenza della Medaglia di Bronzo al Valor Militare), Bontempi Domenico, Quaglia Raffaele e Provasi Baldassarre - che si erano appostati dentro la casa di Vincenzo Delle Monache, soccio di Perrotti nel podere sito in contrada Vallescuro).
Fu riportato alla fortezza ancora
(al carcere di Teramo durante la fase del processo; successivamente venne tradotto al bagno penale di Civitavecchia). Racchiuso in cella con la palla al piede. Ormai aveva ucciso l’arciprete e di campar non gl’importava più.

 

Secondo disco 45 giri (lato A/B)

SIGNORE E SIGNORI, FATE NU POCHE DI ATTENZIONE PERCHE’ VOGLIO FINIRE DI RACCONTARE LA STORIA DI SPARACANNONE, LU TERRIBILE, L’ASTUTISSIMO BRIGANTE DI PENNE.

ATTACCA MAESTRO.

E dopo il tradimento, l’evaso fu rinchiuso, nel carcere a vita doveva lui morir.
Guardava tra le sbarre, il cielo ogni sera e ricordava il volto di chi un dì lo tradì. E ricordava quel riso beffardo, di lei che lui amava con passione, che come Giuda un giorno lo vendette alla gendarmeria per denar
(tutto questo non risulta da nessuna parte, tranne che nella fantasia del cantastorie).

Passarono tre mesi tra quelle tetre mura. Tra quegli ergastolani la pace mai trovò. Pensava al suo paese: alla lontana Penne. Pensava all’arciprete che un dì assassinò. E’ ricordò il socio agonizzante, il socio di quel prete traditore. La causa di tutto il suo dolore. Poi maledisse chi lo partorì.

Accanto alla sua cella un altro condannato gli era ormai amico e un dì gli confidò che dietro alla fortezza, fra gli imponenti scogli, aveva lui trovato il relitto di un barcon. Decisero di fare l’evasione. Pensarono all’ora più propizia. Approfittarono di un servizio che un carceriere a loro comandò.

Il mare agitato, l’onda color di pece, in quella notte triste dovettero pregar. Pregavano gli evasi a bordo del relitto, e la loro preghiera Iddio l’accettò.
Dall’isola di Tremiti fuggiti, il mare li condusse a Francavilla
(dall’Isola di San Nicola nell'arcipelago delle Tremiti, fino a Francavilla al Mare, sono esattamente 47 miglia marine di distanza: impossibile da attraversare in una nottata con un relitto di una barca presumibilmente a vela. Bisogna pure considerare che l’equipaggio a bordo del natante non conosceva minimamente i principali rudimenti della navigazione. Nel carteggio ufficiale – Archivio di Stato di Foggia - non risulta da nessuna parte che Emidio D'Angelo di Penne, alias Cuculetto, sia stato recluso nel penitenziario delle Tremiti).
Lasciarono la barca e nell’interno ognuno per la strada sua andò.

L’evaso si diresse guardingo verso Penne.
Scansava gli abitati per non farsi notar.
Nei pressi del paese suonava mezzogiorno, in un sentiero aspro la mamma sua incontrò
(Angela Rosa Barbacane che nel 1873 aveva 60 anni).
Rimasero impietriti nel guardarsi. Il volto della mamma era sciupato. La vecchia l’abbracciò senza parlare. Rimasero abbracciati ancor così.

O mamma mia perdona il figlio scellerato. Due uomini ho ammazzato e ho fatto male a te. Sono fuggito ancora. Mi debbo vendicare di una cattiva donna che mi tradì un dì.
Figliolo mio io non ci speravo, sentirti ancora stretto sul mio cuore. Sapessi quante lacrime e dolore. Questa tua mamma la farai morir.

Agli occhi dell’evaso una lacrima fuggiva. Si sciolse dall’abbraccio e poi disse così: ritorna a casa mamma perché io devo andare. Se passano i gendarmi io non mi salvo più.
Lasciò la mamma triste e singhiozzante in mezzo alla foresta del paese. Si allontanò che il sole tramontava sulla Maiella con mille baglior
(a Penne il sole non tramonta sulla Maiella che si trova a sud, ma più verso le pendici meridionali del Gran Sasso ad ovest).

Era la mezzanotte, raggiunse un casolare. Un cane lo rincorse e poi lo morsicò. Dalla cascina un uomo venne giù col fucile. Disse puntando l’arma: fermo o sparerò.
L’evaso ritornò sui propri passi e l’uomo gli gridò: ladro di polli. Ma lui con un balzo addosso gli fu presto e del fucile suo s’impossessò.

Puntò lo schioppo e disse: mi serve quest’arnese. Tornate in casa vostra e nulla vi farò.
Nel buio della notte scomparve col fucile. Sapeva dove andare e il passo accelerò. All’alba una casa di campagna apparve agli occhi suoi stanchi ed arrossati. Entrò dalla finestra a piano terra. Senza rumore in casa si portò.

Il piano sovrastante raggiunse in silenzio. Nel buio sfiorò un letto. Qualcosa si agitò. Trovò l’interruttore e al chiaro della luce (l’energia elettrica a Penne è arrivata soltanto nel 1910; in campagna addirittura negli anni '60), sul corpo della donna, lo schioppo lui puntò.
E nel rizzarsi lei scoprì il corpo. Mostrava che sarebbe stata mamma. Il figlio dell’evaso era in quel ventre che con amor la donna si coprì.

E’ stata la paura che mi fece tradire e quando fosti preso soffrii il mio dolor. Un fiore del mio ventre. Il sangue del tuo sangue. Morrà con la sua mamma un poco anche di te. Gettò il fucile a terra quell’evaso. Baciò la donna e disse: è per mio figlio. Il dì che sarà nato, da mia mamma, col tuo piccino andrai ad abitar.

E digli che suo figlio ritorna in quella cella. Non spargerò del sangue perché padre sarò. Or vammi a denunciare. Riscuoterai la taglia, così potrai vestire il figlio del mio cuor.
La donna pianse e lo fece arrestare. E con la taglia fece il corredino a quel piccino tanto sfortunato che il babbo suo mai conoscerà
(la storia della paternità di Cuculetto è sicuramente falsa perchè materialmente non ebbe il "tempo" per procreare. Il brigante entrò in carcere ventunenne. Dunque, escluso il primo periodo della sua giovinezza, trascorse a Penne il mese di novembre del 1873 da latitante e, da utrasettantenne, gli ultimi anni della sua vita assistito dalla Congrega di Carità gestita dalle suore del convento di Santa Chiara. Il convento annesso alla chiesa di Santa Chiara fu trasformato in Ospedale San Massimo nel 1913. In questo posto Cuculetto morì alla rispettabile età di 82 anni, il 1° novembre 1925 verso le ore 13).

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